Il Colosseo
"Finchè esisterà il Colosseo, esisterà Roma; quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma; ma quando cadrà Roma, anche il Mondo cadrà"

Il ghetto di Roma


Il ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo; è sorto nel 1555 quando papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l'istituzione del ghetto, chiamato "serraglio degli ebrei", facendolo sorgere nel rione Sant'Angelo accanto al teatro di Marcello, dove all'epoca costituivano la maggioranza della popolazione.
Più precisamente la zona in cui furono confinati gli ebrei comprendeva le poche strette vie situate fra piazza Giudea (oggi scomparsa), i resti del Portico d'Ottavia e la riva del Tevere presso l'Isola Tiberina.

In seguito alla bolla pontificia del 1555 di Paolo IV, intitolata Cum nimis absurdum (cioè "perché è oltremodo inconcepibile", in riferimento alla tolleranza verso gli ebrei), furono innalzati degli enormi portoni a chiudere fisicamente l'area di circa 3 ettari entro la quale avrebbero dovuto risiedere i circa 3000 membri della comunità ebraica.
La popolazione, però, continuava a crescere rapidamente e, nella seconda metà del XVII secolo gli abitanti del ghetto erano divenuti circa 9000 e il recinto dovette essere leggermente allargato. Un ulteriore allargamento venne concesso solo nel 1825 da papa Leone XII, dopo aver ricevuto un finanziamento dai banchieri ebrei Rotschild; in questa occasione fu aperta una sesta porta, in via della Reginella.
Oggi non esistono più i varchi né i portoni, che però si identificano molto chiaramente nelle antiche piante della città.


Secondo la bolla pontificia, i residenti potevano lasciare il ghetto solo durante il giorno, poi, dal tramonto all'alba successiva, i tre accessi al quartiere venivano serrati a mezzo di grosse porte, e chiunque si fosse attardato e fosse rimasto fuori oltre l'orario consentito avrebbe fatto i conti con l'implacabile giustizia papalina.
Oltre all'obbligo di risiedere all'interno del ghetto, gli ebrei dovevano portare, quando uscivano, un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili (si trattava pezzo di stoffa o un velo di colore azzurrino chiamato glaucus nella bolla del 1555) ed era proibito per loro di possedere beni immobili. Le case dove abitavano venivano prese in affitto da proprietari non ebrei, che le affittavano ai membri della comunità a prezzi calmierati da una legge, chiamata Ius Gazzagà, che prevedeva che l'affitto, una volta stabilito, rimanesse bloccato in perpetuo.
Quest'ultima proibizione portò a una diminuizione della cura per gli immobili stessi e per questo le case del ghetto erano particolarmente degradate, il che giustificò il neo insediato governo italiano, in occasione della costruzione dei muraglioni, ad autorizzarne la distruzione.
Nel 1888, con l'attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d'Ottavia (che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria), via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione. Per avere un'idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d'Ottavia.
Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e, nel 1897, la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l'area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d'Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni. Nel 1901 iniziarono così i lavori che terminarono nel 1904 e nel 29 luglio di quell'anno il Tempio Maggiore di Roma venne inaugurato. Nel seminterrato dell'edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico.

Nel periodo nazifascista
Sabato 16 ottobre 1943, i nazisti effettuarono una retata che, pur interessando molte altre zone di Roma, ebbe il suo epicentro nell'ex ghetto, ove furono catturati oltre mille ebrei.Dopo aver circondato il quartiere alle prime luci del giorno, reparti delle SS sequestrarono numerose persone, soprattutto in via del Portico d'Ottavia. Da uno dei due palazzi rinascimentali della via, posto al numero civico 13, chiamato dai locali "il portonaccio", furono infatti prelevate a forza molte delle persone poi deportate.
I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara. Trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, furono caricati su un convoglio composto da diciotto carri bestiame. Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz il 22 successivo. Soltanto diciassette deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna e nessun bambino.

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